I draghi di Roma: dalla leggenda di San Silvestro all’impresa di Malagrotta…
Santi, Papi e prodi cavalieri avrebbero più volte salvato Roma da famelici draghi. Cosa c’è di vero nei tanti racconti popolari?
Articolo a cura di Andrea Contorni
Perché ho voluto incastrarmi in questo argomento? È la domanda che mi sono posto quando non contento delle prime fonti consultate ho iniziato a scavare nella questione tirando fuori una montagna di notizie disordinate, incongruenti e incerte. Potevo in effetti accontentarmi di raccontarvi una versione della storia e basta ma io sono un ricercatore e dunque ricerco. Inoltre quando termino di ricercare, perché bisogna darsi un limite, non sono mai soddisfatto del lavoro svolto. Ho sempre la sensazione che qualcosa mi sia sfuggito. Probabilmente è anche vero. E pensare che tutto era nato dal mio sublime compiacimento al termine della lettura dell’ultima fatica di Fabrizio Trainito “Assassinio alle Peschiere di Julia Castronovo e altri racconti antichi” (lo trovate linkato nelle fonti. Dategli un’occhiata). Trainito è un autore straordinariamente eclettico e poliedrico, una fucina letteraria vivente con cultura e fantasia da vendere. Nell’opera suddetta imbastisce un bellissimo racconto su un drago romano, uno scritto che mi ha affascinato segnando la mia “rovina”…
Il drago è una creatura da sempre presente nella mitologia greca. Lo ritroviamo immaginato e raffigurato più come un grosso serpente con zampe e ali che come il drago “classico” al quale siamo abituati, quello del “Trono di Spade” tanto per fare un esempio. Tra i tanti miti ellenici abbiamo la storia del drago Ladone dalle cento teste che era a guardia dei pomi d’oro delle Esperidi. Fu ucciso da Eracle/Ercole e trasformato da Hera nella costellazione del Dragone. Come non citare il drago Pitone, un altro gigantesco serpente primordiale che occupava l’Oracolo di Delfi. Fu eliminato da Apollo che si impossessò del luogo. I Romani furono meno propensi a inserire i draghi nei loro racconti mitici. Il serpente assumeva spesso un ruolo sacro e apotropaico con serpenti e appunto dracones associati al culto domestico e alla protezione delle abitazioni. Pensiamo anche al dio della medicina Esculapio il cui animale sacro era il serpente legato alla guarigione e alla rigenerazione. Un simbolo potente che ritroviamo ad esempio nelle moderne “insegne” delle farmacie. L’unico incontro leggendario “documentato” tra un drago e i romani risale al tempo della Prima Guerra Punica quando il console Marco Attilio Regolo e la sua armata si ritrovarono faccia a faccia con un mastodontico serpente uscito dal fiume Bagradas nei pressi di Cartagine (Tunisi). Fu sconfitto e i suoi resti giunsero a Roma tra lo stupore generale. Il drago visse a lungo con le legioni grazie al draco, un’insegna militare adottata dalle coorti e dalle ali di cavalleria durante il basso impero: consisteva in una testa di drago stilizzata e vuota che fungeva da manica a vento montata su un’asta. Mossa dalla brezza quasi fosse viva rincuorava i soldati e incuteva terrore nei nemici.
In realtà c’è un secondo incontro “certificato” tra i Romani e un drago che non viene considerato “parte” della storia romana come il primo, probabilmente perché c’è di mezzo un Papa. Siamo in un periodo compreso tra il 314 e il 335, al tempo di Costantino imperatore. Gli “Acta Silvestri” narrano di un grande serpente che sarebbe scaturito da una grotta alle pendici del Palatino vicino a una pozza d’acqua stagnante (qualcuno invece narra di una caverna nei dintorni di Ponte Salario, in un’area paludosa della zona dell’Aniene). Il disgraziato drago alitava addosso agli uomini e molti morivano avvelenati dal suo fiato pestilenziale. Inoltre diffondeva malattie terribili come le febbri malariche che tra le paludi sarebbero scaturite comunque senza tirare in mezzo il biscione. Papa Silvestro I, che già aveva eliminato un drago a Poggio Catino, si recò alla tana del mostro armato del solo crocifisso. Invocò l’aiuto della Vergine Maria e il drago si ammansì a tal punto che il Pontefice lo trascinò fuori dalla grotta al guinzaglio di un solo filo della sua veste. E una volta all’esterno il mostro fu massacrato dai cittadini. Qualcuno dice che fu invitato a “sloggiare” o persino fatto addormentare come un pargoletto per sempre nella medesima grotta. Come era ovvio, tutti i pagani che assistettero al miracolo del futuro San Silvestro si convertirono al Cristianesimo. Il povero drago morto (se accettiamo la versione più tragica della storia) sarebbe stato trascinato nel Foro Romano e seppellito lì dove Silvestro I promosse l’edificazione di una chiesa dedicata alla Madonna. Nel VI secolo nel luogo ritroviamo la Chiesa di Santa Maria Antiqua, ricostruita poi nel XIII secolo come Chiesa di Santa Maria Liberatrice al Foro Romano ai piedi del Palatino. Il complesso religioso fu demolito nel 1900 nell’ambito degli scavi archeologici al foro. I suoi tesori vennero trasferiti nell’omonima chiesa di Testaccio all’epoca in costruzione. Del drago non è mai stata rinvenuta traccia ma trovandoci comunque in zona Palatino, potremmo dedurre che la grotta del serpente gigante si trovasse proprio lì e non a Ponte Salario. Comunque in ogni caso è palese che questa vicenda non faccia altro che evidenziare la vittoria del Cristianesimo sul paganesimo, impersonato dal povero drago. Siamo pur sempre al tempo di Costantino, l’imperatore che favorì la diffusione della religione cristiana.
Nel VI secolo sotto il pontificato di Papa Gregorio I, il famoso Gregorio Magno in carica dal 590 al 604, un altro drago sarebbe scaturito in seguito a una grande alluvione delle campagne intorno a Roma. Ancora una volta, il suo alito pestilenziale andò ad alimentare le peggiori malattie del mondo fino a quando il Pontefice non intervenne facendo allontanare lo stesso verso altri lidi. Potrei ritenere che questo piccolo racconto si raccordi a quello principale avvenuto intorno al X secolo quando fu “identificato” un enorme drago libero di scorrazzare nei dintorni dell’Urbe tra le attuali località di Malagrotta, Dragona e Dragoncello (notate i nomi di questi due quartieri della periferia romana). La bestia sarebbe stata scacciata dalla città qualche tempo prima addirittura dall’Arcangelo Michele in compagnia della sua intera famigliola. C’è un bellissimo dipinto di Raffaello Sanzio che riprese la leggenda cinque secoli più tardi nel 1505, appunto il “San Michele e il drago”, opera che fa “coppia” con il “San Giorgio e il drago” sempre dello stesso autore. In questi casi il serpente rappresenta il demonio schiacciato dai santi, pertanto la vittoria del bene sul male e dell’ordine sul caos.
Torniamo alla nostra leggenda. Nel Medioevo intorno all’anno 1000, nelle zone paludose dell’attuale Ponte Galeria a ovest di Roma, apparve una creatura terribile, probabilmente l’ultimo discendente della famosa famigliola di draghi cacciati da Michele Arcangelo. La creatura era un drago serpentiforme, dotato anche lui di un fiato pestilenziale e avvolto da un’aurea di maledizione e paura. Si nascondeva in una caverna che i contadini del posto chiamavano “Mala grotta” e le sue escursioni seminavano terrore e morte tra gli umani e gli armenti. Fu così che il Papa indisse una sorta di Crociata a cui risposero tutte le famiglie nobiliari della zona, i Massimo di Massimina, i Mattei di Casetta Mattei e i Normanni di Maccarese guidati dal capostipite degli Anguillara, il coraggioso conte Ramone. La schiera, votata ovviamente a San Giorgio, affrontò il drago in una feroce disputa. Ramone, che si era portato dietro una reliquia per proteggersi, prese coraggio e caricò il mostro. Evitò di essere avvolto nelle sue spire e gli assestò un potente colpo di spada uccidendolo. Ramone fu acclamato dalle genti come un eroe e il Papa lo ricompensò con le terre che costituirono il dominio degli Anguillara. Lo stemma di famiglia contò due serpenti incrociati a ricordo eterno dell’impresa anche se qualcuno ipotizza siano anguille. La località dell’incredibile duello prese il nome di Malagrotta.
Chiudo il pezzo sui draghi di Roma con qualche appunto sulla leggenda. Tutta la zona tra Ponte Galeria e Malagrotta, all’epoca dei fatti narrati, era agricola con vaste aree paludose e malsane dalle quali la gente si teneva alla larga. Il drago potrebbe rappresentare in senso metaforico proprio la malaria o altre malattie portate dalle zanzare o dai miasmi delle paludi. Come ho già spiegato è indubbio che il drago nel Medioevo assuma il ruolo di incarnazione delle forze maligne, un nemico che l’eroe cristiano deve distruggere o domare per ristabilire l’ordine e la sicurezza. La figura di Ramone di Anguillara infatti è un coraggioso cavaliere cristiano che si oppone alle forze demoniache rappresentate dal serpente di Malagrotta. Se scendiamo nella realtà, è ipotizzabile che il mostro in questione fosse un’agguerrita banda di predoni che imperversava per le campagne romane, nascondendosi proprio nelle paludi. Per estirparla si rese necessario l’appello del Papa ai nobili cavalieri guidati da quel Ramone che fu il valoroso capostipite degli Anguillara.
Fonti bibliografiche e sitografiche:
“Assassinio alle Peschiere di Julia Castronovo e altri racconti antichi” di Fabrizio Trainito. Amazon
“Leggenda e realtà della Mala Grotta” di Francesco Mauro su “L’Astrolabio”.
“La leggenda del drago vinto da San Silvestro” di Cinzia Dal Maso su “Specchioromano.it”.